Scandali d’Arte: le tre teste di Modigliani

Alcuni sono passati alla storia, altri sono stati relegati a scoop di nicchia per gli/le appassionate: parliamo di scandali legati al mondo dell’Arte.
Vi raccontiamo quindi la burla più riuscita e famosa nella storia dell’arte: tre giovani studenti riuscirono ad ingannare i migliori critici dell’epoca in quello che è conosciuto come il caso delle tre teste di Modigliani.

Furti, aneddoti leziosi su artiste improbabili, scambi, plagi o falsi spacciati per opere originali – più di quanto potremmo aspettarci ci sono vicende scandalose da svelare.

Foto storica in bianco e nero ritraente scultura di testa di Modigliani, 1984.

Da Livorno a Parigi: la storia di Modigliani

Amedeo Modigliani (1884-1920) – affettuosamente soprannominato Modì – fu un pittore e scultore rinomato soprattutto per i ritratti ed i nudi femminili dallo stile moderno unico. Contemporaneo del movimento artistico dei cubisti, non si riconobbe mai in alcuna corrente, preferendo l’originalità del proprio genio creativo.

Foto storica in bianco e nero ritraente artista Amedeo Modigliani.

Cresciuto a Livorno, l’artista ebbe sempre un rapporto travagliato con la città natale: incompreso e deriso dagli amici e dai colleghi intellettuali, si trasferì nel 1906 a Parigiall’epoca il fulcro dell’avanguardia in Europa.

Modigliani morì prematuramente a Parigi a causa della tubercolosi, ma la sua fama crebbe fino a consacrarlo come uno dei migliori artisti italiani del XX secolo.

La nostra vicenda scandalosa ha inizio proprio qui: con i festeggiamenti indetti dalla città di Livorno per il centenario della nascita del più illustre cittadino.

La leggenda delle tre teste di Modigliani

Nel 1984 infatti, viene allestita una mostra al Museo d’Arte Moderna di Villa Maria, curata dai fratelli Dario e Vera Durbè.

La mostra tuttavia rischiava di essere un fallimento a causa dello scarso numero di opere esposteLivorno vantava di avere solo 4 delle 26 sculture riconosciute all’artista – e del poco interesse da parte del pubblico.

Consapevoli del potere di un mito alimentato, i due rispolverarono una vecchia diceria: Modigliani avrebbe gettato nel Fosso Reale quattro sue sculture in uno scatto d’ira, dopo l’ennesimo scherno da parte degli amici artisti livornesi.

È l’occasione giusta per scoprire la verità su quella leggenda: il comune di Livorno finanziò quindi una scavatrice che per sette giorni perlustrò, senza risultati, i fossi livornesi nei pressi del presunto lancio.

Foto storica in b/n ritraente folla durante le ricerche a Livorno, 1984.

“Abbiamo deciso di fargli trovare qualcosa”

Tra i tanti spettatori che seguivano le assidue ricerche, tre studenti universitari – Michele Ghelarducci, Pietro Luridiana e Pierfrancesco Ferrucci – decisero di contribuire a modo loro agli sforzi.

I tre riprodussero una testa nello stile dell’artista, muniti di martello e trapano elettrico: il risultato era una riproduzione fedele e convincente.

Tuttavia i ragazzi agirono con la consapevolezza che il loro scherzo non avrebbe retto, dato che i critici avrebbero sicuramente riconosciuto il falso.

In seguito dichiararono: “Visto che non trovavano niente, abbiamo deciso noi di fargli trovare qualcosa!”.

Foto storica in b/n ritraente tre giovani studenti con riproduzione testa di Modigliani.

A loro insaputa, tuttavia, lo scultore livornese Angelo Froglia ebbe la loro medesima idea, gettando nel fiume altre due teste. La sua non voleva essere una burla, anzi l’artista dichiarò che la sua era stata “[…] un’operazione estetico-artistica per verificare fino a che punto la gente, i critici, i mass-media creano dei miti”.

Foto storica in b/n di artista Angelo Froglia con scultura di testa, 1984.

Il mondo dell’Arte festeggia il ritrovamento

All’ottavo giorno di ricerca, dunque, avviene il vero miracolo: la ruspa ripescò tre sculture e la somiglianza di stile non lasciò dubbi sull’appartenenza al Modì.

La risposta dei critici d’arte vide da una parte Federico Zeri negare subito l’attribuzione, mentre dall’altra Dario e Vera Durbé e ancora Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi attribuirono le teste con certezza a Modigliani.

Proprio il critico Giulio Carlo Argan, sotto i riflettori televisivi annunciò: “Le teste sono certamente autentiche!”.

Foto riproduzione testa di Modigliani, 1984.

Non ci crederete, ma per 40 giorni la burla resse tra le esultanze della città di Livorno e dei critici d’arte che vantavano il merito di aver ritrovato le preziose opere di Modigliani.

La notizia portò Livorno alla ribalta della cronaca e turisti e media di tutto il mondo invasero la città. Dall’America al Giappone, curiosi, giornalisti e critici d’arte corsero alla mostra dei Durbè che subito esposero le teste.

Foto storica ritrovamento teste di Modigliani a Livorno, 1984.

La rivelazione shock della burla dei tre ragazzi

A quel punto, i tre studenti universitari decisero di farsi avanti e confessare di essere loro in realtà gli autori della cosiddetta “Testa numero 2”.

In una intervista esclusiva per il settimanale Panorama presentarono come prova della falsificazione una fotografia che li ritrae nell’atto di scolpire una delle teste, ricevendo, come compenso per lo scoop, dieci milioni di lire.

Testata di giornale burla tre teste di Modigliani, 1984.

Paradossalmente, il pubblico dell’Arte accolse la confessione con scetticismo: i ragazzi furono invitati a creare un nuovo falso in diretta, durante uno Speciale TG1.

Lo scopo era dimostrare con i fatti la loro capacità di realizzarlo in “così poco tempo” ma con una somiglianza impressionante agli originali.

Foto storica tre giovani studenti riproduzione in diretta testa di Modigliani.

Ormai la burla subita era innegabile: il critico d’arte Federico Zeri rivolse un invito in diretta televisiva affinché l’autore delle altre due “teste” uscisse dall’anonimato.

L’artista Angelo Froglia si fece allora avanti e precisò che un pescatore con la barca ed un dipendente comunale lo aiutarono nell’impresa.

La fine del miracolo: chiude la mostra del Modì

La mostra al Museo D’Arte Moderna di Villa Maria chiuse: il miracolo del ritrovamento era giunto al termine, nella delusione ed ilarità generale per la burla riuscita.

Foto storica b/n chiusura mostra di Modigliani a Livorno, 1984.

Successivamente, il giornalista Gianni Farneti di Panorama affermerà “Io sono di origini livornesi, ho passato la mia infanzia a Livorno e conosco bene la città i suoi umori. Quando venne fuori che avevano cominciato a scavare per cercare le teste la prima cosa che mi venne in mente fu che qualcuno gliele avrebbe fatte trovare”.

Tuttavia, c’è anche chi continuò a sostenere l’autenticità delle tre teste: il critico Argan ne rimase convinto fino alla morte, nonostante le confessioni e le prove presentate.

Foto storica tre false teste di Modigliani esposte, 1984.

Conclusione

Questa vicenda ha avuto risvolti imprevedibili, che ci ricordano quasi il copione di un avvincente intrigo cinematografico.

Secondo la nostra opinione, storie come questa sono curiose testimonianze della creatività delle persone quando si trovano nelle condizioni ideali.

L’Arte riesce ad ispirare in modi inaspettati: seguiteci per scoprire nuovi scandali nel mondo dell’arte.

I moti di Stonewall: la rivoluzione per l’arte queer

Nei primi giorni di giugno assistiamo all’improvvisa esplosione di merchandising arcobaleno, accompagnato da messaggi sull’inclusione e sulla diversity da parte delle aziende multinazionali. In molti casi si tratta di mero rainbow-washing, quindi un’appropriazione della lotta LGBTQ+ senza un contributo concreto alla comunità.

D’altra parte questo mese è diventato, a causa di un momento storico preciso, l’appuntamento annuale di rivendicazione per la visibilità della comunità LGBTQ+. Proprio per questo motivo noi di SupportART abbiamo scelto di usare la nostra piattaforma come cassa di risonanza per la storia e l’arte che hanno segnato il mese del Gay Pride, facendovi conoscere gli effetti dei Moti di Stonewall sull’Arte queer ed alcunə artistə che forse non sapevate essere queer.

I Moti di Stonewall: visibilità e rappresentazione queer

Prima delle parate e della festa tra le strade delle città tra mille bandiere arcobaleno, chi si discostava per orientamento sessuale o per identità di genere al sistema eteronormativo era costretto al segreto o a vivere ai margini della società. La comunità LGBTQ+ ha conquistato la possibilità per tuttə di affermare se stessə, la propria identità e quindi esprimerla anche nell’arte a partire dagli avvenimenti del 28 giugno 1969 al Stonewall Inn di New York, all’epoca uno dei pochi locali sicuri per persone queer. L’ennesimo ingiustificato raid da parte della polizia – e la violenza usata contro donne transgender e sex workers – fa scoppiare la rivolta: guidata da importanti figure come Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson, per la prima volta, la comunità LGBTQ+ oppose resistenza agli abusi basati sulla discriminazione e sull’’omofobia.

Per la prima volta, le persone relegate alla vergogna ed ai margini rivendicarono il proprio diritto ad esistere ed essere se stessə; con i Moti di Stonewall la comunità LGBTQ+ affermò l’importanza della visibilità e della resistenza contro un sistema omologante e repressivo.

Da allora ogni anno, per commemorare il coraggio delle persone queer al Stonewall Inn, sono organizzate le parate del Pride in molte nazioni al mondo. È l’occasione per celebrare l’accettazione sociale e l’auto-accettazione delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, asessuali, non-binarie e queer, dei diritti civili conquistati e dell’orgoglio di appartenere alla comunità LGBTQ+.

L’impatto di Stonewall sull’Arte e la sua legacy

Moti di Stonewall – altresì definiti come “la caduta della forcina che si udì in tutto il mondo” – sono stati il fulcro di un cambiamento epocale: ciò che prima doveva essere nascosto, ora poteva essere rivelato, esibito al mondo. E finalmente moltə artistə queer poterono esprimere liberamente attraverso l’arte la loro identità, la loro esperienza e complessità. Non possiamo fare a meno di soffermarci e sottolineare l’importanza – troppo spesso tralasciata o sminuita – della rappresentazione nell’arte: cerchiamo naturalmente dei punti di riferimento e dei modelli in cui identificarci, in cui riconoscere noi stessi e sentirci parte di una comunità.

Fino ad allora le persone LGBTQ+ erano assenti dai media nordamericani e censurati dal cinema di Hollywood ai sensi del Codice Hays (applicato dal 1930 al 1968), e se nominati erano definitə come pervertitə, affettə da malattie mentali e abomini della natura. Dopo i moti di Stonewall, l’atto di rappresentare la storia o la cultura queer era una presa di posizione politica radicale e più artistə hanno iniziato ad affrontare temi LGBTQ+ e ad affinare un’estetica apertamente queer.

Vi proponiamo quindi di seguito alcune opere ispirate a questo decisivo cambiamento storico, per prepararci alla ricorrenza del prossimo 28 giugno e portare più consapevolezza sulla rappresentazione artistica della comunità LGBTQ+.

L’immaginario collettivo su Stonewall infatti ha ispirato i giganteschi dipinti ad olio di Sandow Birk, artista contemporaneo che riprese le tecniche della pittura storica classica per rappresentare i moti in un contesto eroico. Dimostrano che il movimento contemporaneo per i diritti LGBT fa parte di una gloriosa storia di esseri umani che lottano per la libertà, l’uguaglianza e la giustizia.

Per commemorare i 10 anni dal moti di Stonewall, nel 1980 l’artista George Segal dedicò la propria arte alla lotta per i diritti civili della comunità queer attraverso l’opera scultorea Gay Liberation”, rappresentante due coppie omosessuali lungo Christopher Street.

Tuttavia l’installazione suscitò alcune critiche: la comunità LGBTQ+ si chiedeva se l’opera rendesse adeguatamente omaggio alla storia rivoluzionaria e tumultuosa delle rivolte di Stonewall: “perché il monumento alla Liberazione Gay (1980), una commissione di George Segal per il 10° anniversario delle rivolte, raffigura quattro figure che socializzano tranquillamente a Christopher Park invece di decine di drag queen che lanciano tacchi alti e strappano i parchimetri dal terreno?“.

Nel 2014, invece, l’artista Mary Button dedicò la propria annuale serie di dipinti “Stations Of The Cross” al tema “The Struggle For LGBT Equality, che porta gli/le spettatorə “in un viaggio attraverso la lotta del XX e XXI secolo per l’uguaglianza LGBT. In ogni decennio degli ultimi due secoli, ci sono esempi profondamente preoccupanti e dolorosi dell’emarginazione dei popoli LGBT“. Il percorso delle sofferenze del Gesù cristiano diventano quindi la chiave di lettura per le sofferenze delle comunità marginalizzate: un simbolo per sensibilizzare anche i punti di vista più conservatori, o forse una provocazione all’ipocrisia dell’omofobia giustificata attraverso la religione cristiana.

Ecco 5+1 artistə che non sapevi fossero queer

Infatti, sebbene l’Arte sia il mezzo per eccellenza per esprimere noi stessi, per dare sfogo alla libertà e alla sperimentazione, purtroppo storicamente essa ha subito un fenomeno di “straight washing”. Molti storici e critici, oltre ai manuali di storia dell’arte comunemente usati nelle scuole italiane, tendono a glissare – o nascondere completamente – sugli orientamenti sessuali o sulle identità di genere di artistə famosə, presentandolə come canonicamente eterosessualə.

I moti di Stonewall sono ricordati come il punto di svolta per la creazione del movimento dei diritti della comunità LGBTQ+ ma, prima della visibilità e di un’orgogliosa rappresentazione, quantə e qualə artistə hanno dovuto celare la propria identità ed il proprio amore?

Ecco a voi quindi alcuni esempi, a partire dal pittore ed incisore Albrecht Dürer (1471-1528), stimato come il più importante esponente del Rinascimento tedesco, sulla cui bisessualità non rimangono molti dubbi grazie alle numerose lettere rivolte ai suoi amanti.

Pionierə nella lotta per il rispetto e l’accettazione dei diritti civili della comunità queer, Gluck rivendicò sempre attraverso le proprie opere la sua identità gender- nonconforming.

Infatti essə (1895-1978) non si identificava ne come donna ne come uomo: voleva solo essere Gluck e sfidava le intransigenti norme di genere apponendo sul retro dei suoi dipinti la scritta: “No prefix, suffix, or quotes”.

Anche Tamara de Lempicka (1898-1980) non nascose mai nelle sue opere la propria attrazione per i corpi femminili, dichiarando apertamente la propria bisessualità.

Inoltre divenne una delle ritrattiste più affermate ed influenti del Novecento grazie al suo originale stile personale, fortemente influenzato dalla corrente artistica dell’Art Decò ed al contempo da cubismo e neoclassicismo.

Definita contro la sua volontà “un’artista surrealista”, Frida Kahlo (1907-1954) ha segnato la storia dell’arte con la candida – a volte turbolenta, ma assolutamente umana – trasposizione della propria realtà interiore in opere in cui esplora temi come le questioni di identità, postcolonialismo, genere, classe, e razza nella società messicana. Solamente negli anni novanta il pubblico mondiale riconobbe la sua bravura artistica e Frida Kahlo venne finalmente consacrata come un’icona per Chicanos, il movimento femminista e il movimento LGBTQ+.

Francis Bacon (1909-1992), conosciuto anche come “il testimone unicamente desolante della condizione umana”, aveva una relazione apertamente gay col modello George Dyer. Ispirato alla carriera artistica dalle opere di Picasso, in alcune delle sue opere si può vedere l’artista esprimere la sua omosessualità, anche se nel suo tipico modo orribile e crudo.

Infine sembra impensabile non citare Keith Haring (1958-1990): apertamente omessuale, non perse mai occasione per denunciare la lotta per i diritti civili e per sensibilizzare su problemi sociali come la cultura consumistica, l’uso e abuso di droga, e sul razzismo.

Haring, inoltre, perseguiva un modello di “arte per tuttə” allo scopo di condividere le proprie opere con il più grande pubblico possibile: questa missione era possibile soltanto portando l’arte al di fuori dai musei e dalle gallerie, e ignorando le regole imposte dalla società ancora oppressiva e conservatrice.

Conclusioni

In questo mese così significativo – in vista delle celebrazioni e parate che prenderanno vita nelle nostre città italiane – crediamo sia importante mantenere vivo il ricordo dei Moti di Stonewall, del cambiamento immenso che hanno comportato e della cultura ed arte che hanno permesso fiorissero.

Abbiamo inoltre scelto di dedicare uno spazio per gli/le artistə che hanno opposto resistenza all’oppressione attraverso l’arte, lottando affinché la loro identità non venisse travisata o nascosta: ricordando il legame tra questə artistə e la loro identità di genere o il loro orientamento sessuale possiamo comprendere al meglio la loro arte, ma soprattutto per rispettare il loro nome e la loro eredità.

Noi di SupportART vogliamo contribuire alla lotta per maggiore rappresentazione e visibilità per gli/le artistə appartenentə alla comunità LGBTQ+ perché crediamo fortemente nella capacità dell’arte di veicolare messaggi, prospettive ed esperienze uniche che ci permettono di creare legami e, forse, imparare ad apprezzare la diversità.

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